Pioggia sull'asfalto
La pioggia sull'asfalto martellava il parabrezza mentre Marco guidava a tutta velocità, le mani strette sul volante, il cazzo già duro solo al pensiero di lei. La strada era un nastro nero lucido, illuminato dai fari che tagliavano l’oscurità come lame, e il rumore dell’acqua che colpiva l’auto era un sottofondo perfetto per i ricordi che gli scorrevano nella testa. Il telefono sul sedile taceva, ma la voce di Clara—calda, vogliosa—gli rimbombava nelle orecchie: "Non riesco a togliermi dalla testa quella notte..." Quelle parole lo avevano fregato, risvegliando il desiderio che aveva cercato di soffocare per settimane.
Era stato un casino quella notte, un’esplosione di sesso sfrenato che non si sarebbero mai dovuti permettere. Si erano incontrati in un bar schifoso, uno di quelli con i neon mezzi rotti e l’odore di whisky nell’aria. Lei era uno spettacolo: un vestito aderente che le segnava il culo e le tette, e quel profumo—gelsomino mischiato a qualcosa di peccaminoso—che gli aveva fatto venire voglia di scoparla lì, sul bancone. Dopo qualche bicchiere, erano finiti a casa di lei, le mani già sotto i vestiti ancora prima di chiudere la porta. L’aveva sbattuta contro il muro, le aveva strappato le mutandine e l’aveva presa lì, con la pioggia che sbatteva contro le finestre e i suoi gemiti che gli riempivano la testa. Ricordava ancora il sapore della sua fica bagnata sulla lingua, il modo in cui lei gli aveva afferrato i capelli mentre lui la leccava fino a farla urlare.
L’auto slittò sull’asfalto mentre svoltava nella sua via, il cuore che gli pompava nel petto e il cazzo che pulsava nei jeans. Non sapeva perché cazzo stesse tornando da lei, ma non poteva fermarsi. La telefonata era stata una miccia, e ora voleva solo spegnersi dentro di lei. Parcheggiò sotto il suo palazzo, uscì sotto la pioggia gelida che gli bagnava la giacca e i capelli, e si fermò un attimo a guardarla finestra. *Lo è davvero?* La domanda di Clara gli bruciava dentro, e la risposta era già nei suoi pantaloni.
Citofonò, e la voce di lei lo colpì dritto all’inguine: “Sali.” La porta si aprì, e Marco salì le scale due gradini alla volta, il cazzo che gli tirava contro la zip. Quando lei aprì, quasi gli cadde la mascella: era lì, scalza, con una vestaglia di seta che le aderiva alle tette e al culo come una seconda pelle, i capezzoli duri che si vedevano attraverso il tessuto. I capelli bagnati le cadevano sul viso, e i suoi occhi lo guardavano come se volesse succhiarlo lì sulla soglia.
“Clara,” iniziò, ma lei gli mise un dito sulle labbra e lo spinse dentro. Chiuse la porta e lo afferrò per la giacca, strappandogliela di dosso mentre gli infilava la lingua in bocca. Il bacio era sporco, affamato, e Marco le infilò subito le mani sotto la vestaglia, trovandola nuda e già bagnata. Le afferrò il culo con forza, facendola gemere, e la sbatté contro il muro. Lei gli tirò via la camicia, i bottoni che saltavano sul pavimento, e gli graffiò il petto mentre lui le apriva la vestaglia e le succhiava un capezzolo, mordendolo abbastanza forte da farla ansimare.
“Marco,” rantolò lei, infilandogli una mano nei jeans per stringergli il cazzo, “scopami subito.” Non se lo fece ripetere due volte. Le alzò una gamba, si slacciò i pantaloni e lasciò che il suo uccello duro come il marmo uscisse libero. La penetrò con un colpo secco, facendola urlare mentre la riempiva fino in fondo, le pareti strette della sua fica che lo avvolgevano come un guanto. La pioggia fuori sembrava scandire i loro movimenti—lui che la sbatteva contro il muro, lei che gli mordeva il collo e gli gridava di non fermarsi.
Le infilò due dita in bocca, facendola succhiare mentre la scopava più forte, il rumore dei loro corpi che sbattevano insieme che sovrastava il temporale. Lei gli afferrò il culo, spingendolo più a fondo, e poi gli sussurrò all’orecchio: “Voglio sentirti venire dentro di me.” Quelle parole lo mandarono fuori di testa. Le afferrò i capelli, tirandole la testa indietro, e le leccò il collo mentre le pompava dentro con colpi sempre più violenti. Lei venne per prima, la fica che si stringeva intorno al suo cazzo mentre urlava il suo nome, le cosce che tremavano contro di lui. Marco la seguì subito dopo, esplodendole dentro con un grugnito animalesco, il seme caldo che le riempiva il ventre mentre si aggrappava a lei per non crollare.
Rimasero lì, sudati e ansanti, il cazzo di lui ancora dentro di lei mentre la pioggia batteva contro i vetri. Clara gli passò una mano sul viso, ridendo piano. “È finita ora?” chiese, con un tono che era puro sesso. Lui le diede un ultimo colpo, facendola gemere, e rispose: “Non finché non ti scopo di nuovo.” La prese in braccio e la portò sul divano, pronto a farla urlare ancora.